sabato 27 gennaio 2007

Pio XII contro il nazismo

Il pescatore contro la svastica
di Paolo Casu, Il Quotidiano di Sassari 17/10/99
Mentre da fonte ebraica si stima che la Chiesa abbia messo in salvo 850.000 ebrei, continua a tenere banco l’accusa contro Eugenio Pacelli per i suoi presunti silenzi. I documenti ufficiali, le note diplomatiche, le istruzioni e gli interventi diretti del Pontefice dimostrano l’esatto contrario. A decenni dalla morte, il linciaggio morale di Pio XII non conosce soste. Lo storico gesuita Pierre Blet, racconta inediti retroscena
"…ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen" (S. Paolo ai Romani 9,2-5)

La palude delle menzogne

Mentre da fonte ebraica si stima che la Chiesa abbia messo in salvo 850.000 ebrei, continua a tenere banco l’accusa contro Eugenio Pacelli per i suoi presunti silenzi.
I documenti ufficiali, le note diplomatiche, le istruzioni e gli interventi diretti del Pontefice dimostrano l’esatto contrario.
A 41 anni dalla morte, il linciaggio morale di Pio XII non conosce soste.
Lo storico gesuita Pierre Blet, in una lunga intervista al nostro giornale, racconta inediti retroscena
Bianco Padre che da Roma/ ci sei meta luce e guida/ su ciascun di noi confida/ su noi tutti puoi contar/ siamo arditi della fede/ siamo araldi della croce/ al tuo cenno alla tua voce/ un esercito ha l'Altar.

Queste rime ingenue, ma di una semplicità comprensibile nell’Italia degli anni Cinquanta, sono state cantate dai ragazzi dell’Azione Cattolica per esprimere la devozione a Pio XII, il Bianco Padre che ha protetto la Chiesa e instancabilmente cercato di impedire la guerra, senza fermarsi nemmeno di fronte alle più cocenti delusioni.

I ragazzi degli Anni Cinquanta

Nel corso dei decenni, i ragazzi degli Anni Cinquanta, nati durante o prima della Seconda Guerra Mondiale, hanno incominciato a nutrire il sospetto che il Bianco Padre avesse macchiato di sangue innocente la sua veste candida. Il sospetto, però, non iniziò a serpeggiare subito. Quando le truppe alleate entrarono in una Roma finalmente liberata, Eugenio Pacelli venne proclamato difensore della città. Pur potendo scappare in luoghi più sicuri, si era infatti rifiutato di abbandonare la città eterna al suo destino.


Defensor Civitatis

Perfino la toponomastica conserva traccia di quel momento memorabile. La piazza su cui sfocia via della Conciliazione, antistante il colonnato del Bernini, è intitolata proprio a Pio XII, Defensor Civitatis. Le organizzazioni ebraiche, in più occasioni e in modo concreto - finanziando le opere di carità del Papa - avevano riconosciuto l’inesausta attività della Santa Sede per sottrarre quanti più figli di Israele dagli artigli diabolici del nazismo.

Le stime ascrivono la salvezza di centinaia di migliaia di persone al coraggio di Pio XII e alle precise istruzioni impartite alle Nunziature di tutta l’Europa e ai conventi maschili e femminili (nei quali fu sistematicamente infranta, per volere del Papa, la clausura). "Secondo lo storico Emilio Pinchas Lapide, già console generale di Israele a Milano - scrive Antonio Gaspari nel libro "Nascosti in convento" - la Santa Sede, i nunzi e la Chiesa cattolica hanno salvato da morte certa tra i 700.000 e gli 850.000 ebrei".


Calunnia in salsa teatrale

Occorrerà attendere gli Anni Sessanta (dopo la morte di Pio XII, avvenuta il 9 ottobre del 1958) perché la ragnatela della calunnia venga gettata addosso a un uomo non più in grado di difendersi. Un romanziere austriaco da quattro soldi, Rolf Hochhuth, scrisse una pièce teatrale intitolata "Il Vicario" in cui la figura di Pacelli veniva trascinata nella polvere. La pièce non andò in scena, per la contrarietà di personalità del mondo laico come Pietro Nenni, che di Pacelli aveva sperimentato - nascosto in Laterano con la tonaca talare - la generosa ospitalità quando la pelle dei partigiani non valeva un soldo.


1999: Hitler’s Pope

A cicliche ondate, le calunnie ritornano. Ultimo nella lista dei detrattori di Pio XII è un volume di John Cornwell dal titolo eloquente: "Hitler’s Pope: the secret history of Pius XII". Dietro la suggestione della secret history, arriva un’altra bordata di insulti. Se l’ipotesi che Pio XII sia stato il Papa di Hitler non può che essere cestinata perché priva di senso e di riscontri, un’altra accusa ha logorato la memoria di Eugenio Pacelli: la mancanza di una pubblica condanna del nazismo. Da questa accusa vogliamo partire in una riflessione sulla tragedia che investì l’Europa e il Mondo dal 1939 al 1945.


Parlare fa rima con morire


Il 20 luglio del 1942 i vescovi olandesi rendono note, in una lettera pastorale, le proteste sollevate insieme ai capi delle Chiese riformate contro la deportazione degli ebrei. La vendetta nazista cala come una mannaia meno di una settimana dopo. Il 26 luglio, 156 ebrei cattolici vengono rastrellati e condotti nei campi di sterminio. Fra questi anche la filosofa tedesca Edith Stein - divenuta suora carmelitana - canonizzata nel 1998 da Giovanni Paolo II e proclamata compatrona d’Europa un mese fa.

Il prezzo da pagare per ogni pubblica protesta contro la barbarie nazista era terribile. "Ogni parola da Noi rivolta a questo scopo alle competenti autorità, e ogni Nostro pubblico accenno - dice Pio XII nel discorso ai cardinali del 2 giugno 1943 - dovevano essere da Noi seriamente ponderati e misurati nell’interesse dei sofferenti stessi, per non rendere, pur senza volerlo, più grave e insopportabile la loro situazione".


Verità sepolte in biblioteca

A far piena luce sull’impegno di Pio XII in favore della pace e in soccorso di tutte le vittime della guerra, è stato appena tradotto in italiano un documentatissimo saggio del padre gesuita Pierre Blet.

Nato nel 1918 in Normandia, padre Blet è l’ultimo sopravvissuto dei quattro autori di un’opera monumentale: i dodici volumi degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale. "…l’esperienza dei quindici anni trascorsi dall’uscita dell’ultimo volume mostra che il contenuto, se non l’esistenza stessa di questa pubblicazione - scrive padre Blet - non sono ancora noti a molti di coloro che parlano e scrivono sulla Santa Sede durante la guerra".


Wojtyla: "Leggete il libro di Blet"

Per colmare questa lacuna, padre Blet ha scritto una sorta di riassunto-introduzione agli Actes, pubblicato nel 1997 dalla Librairie Académique Perrin: Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale negli archivi vaticani. L’opera, che ha ricevuto, fra i tanti, il plauso di Giovanni Paolo II (che la indica a tutti coloro che vogliano approfondire sulla base dei fatti e non delle interpretazioni arbitrarie quel doloroso periodo storico), è stata tradotta in italiano da Emilia Paola Pacelli e Rita di Castro e data alle stampe lo scorso settembre dalle edizioni San Paolo.


Ricostruita da Pierre Blet la vera storia di Pio XII

Incontriamo padre Blet a Roma, nella sua stanza al quarto piano della Pontificia Università Gregoriana, dove vive e prepara le sue lezioni di storia moderna. Per una fortunata circostanza tocca a noi mostrargli per primi la sua opera fresca di stampa.

L’amicizia di Pio XII per il popolo tedesco legittima la deduzione che lo vorrebbe trasformare in un amico dei nazisti e quindi in un nemico degli ebrei?

Padre Blet sorride e dà un’occhiata a una fotocopia de Le Figaro: "Questa è la stessa prima domanda di un’intervista ad uno storico protestante, molto famoso in Francia. Il fatto che il papa fosse amico dei tedeschi non significa che fosse amico dei nazisti. È vero invece il contrario. Pacelli visse per dieci anni in Germania come nunzio. Aveva amici tra i vescovi ma anche tra i laici. I vescovi suoi amici erano oppositori del regime nazista: il cardinale Konrad von Preysing, vescovo di Berlino, il cardinale Adolf Bertram, arcivescovo di Breslavia. Quest’ultimo era un po’ più prudente nell’opporsi ad Hitler, perché il nazismo è arrivato al potere in modo legale. Ma questa non era solo l’opinione di Bertram. Da ragazzo ho visto spesso citato un giornale americano che diceva: dopo tutto Hitler è stato confermato con un referendum che ha dato una maggioranza schiacciante, quindi si tratta pur sempre di democrazia".

In realtà qual era la posizione personale di Pacelli?

"Il mio libro si basa sullo sforzo di fondare tutto sui documenti. Per esempio, non ho utilizzato nemmeno le memorie di suor Pasqualina, la perpetua di Pacelli, nonostante contenessero elementi interessanti, perché non sono prove documentali. Ma farò un’eccezione - non contenuta nel libro - che mi sembra abbia un certo valore. Il padre Robert Leiber, segretario privato di Pio XII, mi raccontò di un pranzo a cui Pacelli, allora segretario di Stato, fu invitato da François Charles-Roux, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Uno dei figli del diplomatico disse che era meglio avere al potere in Germania un pittore come Hitler, piuttosto che i generali prussiani. E Pacelli rispose: Voi non sapete che cosa dite. I generali prussiani hanno sicuramente i loro difetti, ma questa gente (i nazisti, ndr) è diabolica".

Questo atteggiamento risulta anche dagli atti ufficiali del cardinale Pacelli?

"Certo. Per comprendere i suoi rapporti col nazismo basta leggere le note che inviava dalla Segreteria di Stato all’ambasciatore tedesco Diego von Bergen. Sono molto energiche. Nel 1937 l’arcivescovo di Chicago parlò molto duramente di Hitler: È una cosa incredibile che un popolo intelligente sia ridotto in schiavitù da un pittore che non vale un granché. Von Bergen mandò una protesta al segretario di Stato. E Pacelli rispose: Non sono abituato a prendere posizione di fronte a dicerie, senza un testo ufficiale. Ma, d’altro canto, io domanderei che cosa fa il governo tedesco di fronte agli attacchi, alle ingiurie e alle calunnie che ogni giorno vengono riversate contro la Chiesa in Germania? Io faciliterò il compito di Vostra Eccellenza: il governo tedesco non fa niente!".

Il riferimento è agli attacchi sistematici della stampa tedesca contro la Chiesa cattolica?

"Gli storici dovrebbero andare a sfogliare i giornali tedeschi durante il pontificato di Pacelli - non solo i giornali cattolici, ma soprattutto i giornali del partito nazista - per vedere in quali toni parlano di Pio XII. Allo stesso modo, dopo l’enciclica "Mit brennender Sorge", ci sono state forti proteste. Ora è riconosciuto da tutti che Pacelli, come Segretario di Stato di Pio XI, ha preso grande parte alla stesura dell’enciclica".

Vuole chiarire quale fu il ruolo di Pacelli nella stesura della "Mit brennender Sorge", l’enciclica di Pio XI, scritta nel 1937, in cui si condannava la prassi e la filosofia del nazismo?

"Non tratto in modo ampio nel libro di questa enciclica perché fa parte del periodo in cui Pacelli era segretario di Stato. Ma è di capitale importanza. La parte dogmatica - quella che oppone la dottrina cristiana della creazione e della redenzione operata da Cristo, al neopaganesimo nazista - fu scritta dal cardinale arcivescovo di Monaco Michael von Faulhaber, su incarico di Pacelli. La redazione finale fu affidata a Kaas (presidente del partico cattolico tedesco) e al padre Leiber. Di chiarissima lettura la nota di protesta dell’ambasciatore von Bergen: Questa enciclica, come anche le note della Segreteria di Stato, mostrano che la Santa Sede non vuol capire la mentalità del nazionalsocialismo e che non ha per esso nessuna benevolenza. Dunque Bergen riconobbe che c’era la stessa mano dietro l’enciclica e le note di Pacelli".

Perché, nelle polemiche sui rapporti tra il Vaticano e il nazismo, non si parla mai di quella enciclica?

"È un espediente che consente di distinguere fra un energico Pio XI e un Pacelli debole di fronte al nazismo. Papa Achille Ratti decise la stesura della "Mit brennender Sorge". Ma poi non se ne occupò. Il padre Leiber mi raccontò che l’enciclica fu pubblicata subito dopo una sommaria lettura di Pio XI, senza apportare nessuna modifica. Forse Pacelli non scrisse nemmeno una parola dell’enciclica, ma possiamo dire con certezza che è sostanzialmente opera sua. Lui sovraintese a tutte le fasi di stesura, lui diede le indicazioni sui temi, soprattutto sull’applicazione del concordato del 1933 fra la Germania e il Vaticano. Si dovrà riconoscere - dice la "Mit brennender Sorge" - con stupore e con intima ripulsa, come dall’altra parte (il governo dei Reich, ndr) si sia eretto a norma ordinaria lo svisare arbitrariamente i patti, l’eluderli, lo svuotarli e finalmente il violarli più o meno apertamente. Poi c’è una frase durissima chiaramente indirizzata al Führer: Anche se un uomo identifichi in sé ogni sapere, ogni potere e tutta la possanza materiale della terra, non può gettare fondamento diverso, da quello che Cristo ha gettato. Colui quindi che con sacrilego disconoscimento della diversità essenziale tra Dio e la creatura, tra l’Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse porre accanto a Cristo e ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, al quale si applica spaventosamente la parola della Scrittura: ‘Colui che abita nel Cielo, ride di loro’".

Le condizioni di pace imposte alla Germania alla fine della prima guerra mondiale erano particolarmente vessatorie per l’economia tedesca. Possono aver favorito l’ascesa di Hitler?

"Erano condizioni inique e stupide. Tanto valeva che i vincitori decidessero di distruggere totalmente la Germania, piuttosto che imporre delle condizioni che portassero l’economia tedesca al tracollo. Su questo punto si era levato l’ammonimento di Pio XI. Il Vaticano è sempre stato per la pace in Europa. Sono state invece l’Inghilterra e la Francia a far crescere Hitler. Quando Hitler occupò militarmente la Renania, che doveva rimanere smilitarizzata, se un solo reggimento francese si fosse opposto, Hitler sarebbe caduto. O almeno ci sarebbe stata una congiura di generali per rovesciarlo. Poi gli hanno lasciato fare tutto: l’Anschluss (annessione) dell’Austria, il trattato di Monaco (che sancì l’incorporazione alla Germania della regione cecoslovacca dei Sudeti, ndr. Per Pio XI quella data aveva segnato non solamente la capitolazione, bensì il capitombolo delle democrazie. Hitler, grazie alla Conferenza di Monaco, riuscì ad annettersi la parte della Cecoslovacchia dove erano ubicate le fortificazioni. A quel punto poteva occupare quella nazione in tutta tranquillità, con le mani in tasca. E infatti non si sparò un solo colpo di fucile il 15 marzo del 1939, quando i tedeschi entrarono a Praga".

Quale ruolo esercitò Robert Leiber a fianco di Eugenio Pacelli?

"Il padre Leiber fu accanto a Pacelli già dagli anni dell’incarico di nunzio a Monaco di Baviera. Lo seguì alla Nunziatura di Berlino nel 1925, gli rimase accanto per il decennio di Segreteria di Stato e fino alla morte di Pio XII, avvenuta nel 1958. Era lui che faceva da tramite tra i tedeschi e Pacelli. Ma Leiber era assolutamente nascosto, non ha voluto scrivere le sue memorie. Nessuno ha mai parlato di lui. Nell’Osservatore Romano non si troverà mai traccia del suo nome. Viveva qui a Roma in una stanza della Gregoriana vicina alla mia. Ogni giorno prendeva l’autobus 64 per raggiungere il Vaticano. In questo Ateneo occupava la cattedra di Metodologia storica, nella quale gli sono succeduto. Prezioso è stato il suo contributo nella redazione degli Actes. Sono orgoglioso - nonostante non figuri ufficialmente la sua collaborazione - perché sono stato io che ho domandato di inserire in questo lavoro il padre Leiber".

La caduta della fama di Pio XII inizia con l’opera teatrale "Il Vicario" di cui Pietro Nenni, socialista ed ex rifugiato politico in Laterano, si oppose alla messa in scena.

"Quest’opera teatrale, che non valeva tecnicamente un granché, è stata subito tradotta in una quantità di lingue. Questa è una cosa macchinata dall’Est. È molto chiaro. Non nomino mai nel mio libro Rolf Hochhuth perché come storico non posso discutere con uno che fa opere teatrali. Lui ha scritto anche un’opera contro Churchill. Ma gli è costata cara, perché gli inglesi non sono il Vaticano. Nell’opera contro Churchill, questo signore accusa il primo ministro inglese di aver ordito l’assassinio di un generale polacco che in realtà è morto in un incidente aereo. Il pilota dell’aereo si è salvato. Ma nell’opera teatrale c’è scritto che dopo qualche tempo fu assassinato anche lui. È accaduto che un signore si sia entusiasmato per quest’opera sostenendo che tutto quello che c’era scritto era vero. Un bel giorno è riuscito a rintracciare il pilota vivo e vegeto nella sua villa in California. E anche il pilota gli ha fatto causa".

Ma quale senso avrebbe tutto questo accanimento?

"Uno storico inglese recentemente ha pubblicato un articolo su The Tablet per sottolineare che Stalin aveva bisogno di screditare il Vaticano e che a Pacelli non era mai stata perdonata la scomunica contro il comunismo".

Con la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’impero sovietico, che senso ha la recrudescenza degli attacchi alla memoria di Pio XII? Si cerca forse di screditare il presente continuando ad infangare il passato?

"Accusare Pio XII è una operazione che vuole sottolineare la sciagura nazista, le camere a gas. Ma quando lei parla di camere a gas non pensa ai gulag sovietici. I morti sono dieci volte di più. Così i governi occidentali possono permettersi di avere dei comunisti al governo. In passato si è pensato che queste accuse servissero a costringere la Santa Sede a riconoscere lo Stato d’Israele. Ma anche questo scoglio è stato superato e le calunnie invece continuano".

C’è secondo lei il tentativo di mettere i bastoni fra le ruote a Giovanni Paolo II?

"Questo intento mi sembra evidente nel libro di Cornwell. Lo storico francese intervistato da Le Figaro, pur essendo protestante, sostiene senza mezzi termini: Questa è una operazione contro la Chiesa cattolica e, nonostante sia protestante, sono solidale con essa. Cornwell porta avanti un grande inganno, sostiene di aver trovato nuovi documenti e invece non c’è proprio niente di nuovo. E quando parla dei documenti cita le fonti indirettamente da opere di altri autori. Si vede che non ha letto niente".


Il rabbino dimenticato

Una figura dimenticata nella storia contemporanea dei rapporti tra l’ebraismo e la Chiesa cattolica è il rabbino Israele Zolli. "Un caro uomo, di animo e spirito cristiano", dice di lui il padre Vittorio Marcozzi, professore di Antropologia alla Gregoriana. "Fin da piccolo ha nutrito sentimenti di carità, di amore. Ma il passo di abbracciare la fede cristiano lo ha fatto solo a guerra finita, in modo che non sembrasse un tradimento, per non mettersi al sicuro mentre gli altri erano in pericolo". Sofia Cavalletti, allieva e collaboratrice di Zolli alla Sapienza: "Incontrarlo è stata la grande benedizione della mia vita. Era un uomo buono e di rara grandezza intellettuale". Alla figura di Zolli dedichiamo la parte conclusiva dello speciale.


Protagonisti & testimoni - Il rabbino amico del papa

"Israele Zolli, rabbino capo della comunità ebraica romana fu uno dei protagonisti di quegli anni terribili e tragici. Uomo con qualità eccelse, avvertì per primo il pericolo nazista, si batté perché tutti gli ebrei si nascondessero in tempo e sarebbe ricordato come un eroe se non avesse scelto la conversione al cattolicesimo. Si battezzò il 13 febbraio 1945 prendendo il nome di Eugenio per riconoscenza a quanto papa Pacelli aveva fatto per salvare i suoi correligionari. Un atto che ha ferito profondamente la Comunità ebraica mondiale. Ancora oggi a distanza di 42 anni dalla morte di Zolli è difficile parlare di quella vicenda senza rischiare di ferire l'orgoglio ebraico.

Peccato perché non si può ricomporre il quadro completo della realtà storica di quegli anni e soprattutto non si può conoscere a fondo il dibattito che si sviluppò all'interno della comunità ebraica senza ricordare la figura di Zolli.

Israele Zoller, questo il suo nome di nascita era di origine polacca. La mamma, di famiglia rabbinica da più di quattro secoli, desiderava vivamente che uno dei suoi cinque figli divenisse rabbino; e il suo desiderio fu soddisfatto… Il giovane Israele frequentò prima l'Università di Vienna, poi quella di Firenze, dove si laureò in filosofia, studiando contemporaneamente nel Collegio rabbinico. Nel 1920 divenne Rabbino Capo di Trieste. Nel 1933 ottenne la cittadinanza italiana e a causa delle leggi fasciste dovette cambiare il cognome da Zoller in Zolli. Ottenne anche la cattedra di lingua e letteratura ebraica nell'università di Padova, ma con l'applicazione delle leggi razziali dovette abbandonare I'insegnamento. Nel 1940 fu nominato Gran Rabbino a Roma, ove svolse una missione di pace nella comunità ebraica, divisa fra coloro che si dichiaravano antifascisti e coloro che invece speravano di evitare guai peggiori offrendo una certa collaborazione. Zolli non si fidava dei fascisti e per questo aveva proposto ai leader della comunità di bruciare i registri e far fuggire la gente. Non fu creduto, anche perché l'allora capo della Polizia Carmine Senise forniva notizie rassicuranti.

Dopo l'8 settembre 1943, la situazione per gli ebrei andò rapidamente peggiorando. Il 27 settembre il tenente colonnello Kappler, capo della polizia tedesca a Roma, intimò ai responsabili della comunità ebraica di consegnare entro 24 ore 50 chilogrammi di oro, con la minaccia, in caso contrario, della deportazione di tutti gli uomini ebrei residenti a Roma. La sera di quel giorno gli ebrei avevano potuto raccogliere 35 chili di oro; ne mancavano 15. Zolli si recò in Vaticano per chiedere aiuto al Papa. Pio XII lo tranquillizzò, la Santa Sede avrebbe fornito l'oro che mancava. Il 29 settembre il comm. Nogara, Delegato all'Amministrazione speciale della Santa Sede, scriveva al card. Maglione, Segretario di Stato: "II Dr. Zolli ieri alle 14 è venuto a dirmi che avevano trovato i 15 chili presso delle comunità cattoliche e che quindi non avevano bisogno del nostro concorso. Però pregava che non gli si chiudesse la porta nell'avvenire".

Ma l'oro non placò la ferocia dei nazisti. …il 16 ottobre iniziarono le deportazioni forzate. Zolli fu accolto da due giovani sposi cristiani di condizione operaia, che, avendo perduto i loro genitori, lo assistettero come loro padre fino alla liberazione di Roma. La moglie Emma Majonica e la figlia Miryam furono nascoste in un luogo sicuro.

Dopo l'arrivo degli alleati, Zolli riprese il suo posto di Gran Rabbino, e nel luglio 1944 celebrò nella sinagoga una solenne cerimonia, che fu anche radiotrasmessa, per esprimere pubblicamente riconoscenza degli ebrei al Sommo Pontefice, nonché al Presidente degli Stati Uniti, per l'aiuto prestato alla comunità ebraica durante la persecuzione nazista. Il 25 luglio chiese ed ottenne di essere ricevuto in udienza da Pio XII, per ringraziarlo ufficialmente per quanto egli… aveva fatto in favore degli ebrei, aprendo loro conventi e monasteri, dispensando anche dalla legge canonica della clausura papale, affinché gli ebrei potessero essere accolti nei monasteri femminili…

Dopo aver condiviso con i suoi correligionari le sofferenze della persecuzione alla fine di luglio 1944 Zolli scrisse al Presidente della comunità ebraica presentando le sue dimissioni da Gran Rabbino. La domanda giunse del tutto inaspettata e causò grande meraviglia. Il Presidente della comunità prese atto con vivo dispiacere delle dimissioni, ma pregò Zolli di accettare l'incarico di Direttore del Collegio rabbinico perché "non dubitava di asserire che nella comunità ebraica non vi era una persona più competente e preparata per quel delicato ufficio, ed insieme da tutti stimata e apprezzata per la sua onestà e dottrina". La lettera del Presidente della Comunità si concludeva dicendo che, se il motivo del rifiuto fosse stato di natura economica, era disposto a venirgli incontro nel miglior modo, purché accettasse I'invito. In maniera cortese e decisa Zolli rifiutò ogni incarico.

Il 15 agosto del 1944 Zolli manifestò al Rettore della Pontificia Università Gregoriana il gesuita Paolo Dezza la sua intenzione di divenire cristiano. Ricorda il cardinale Dezza ora noventaseienne che Zolli si presentò con tanta umiltà e sincerità dicendo "Padre, la mia domanda del battesimo non è un do ut des. Domando l'acqua del battesimo e nient'altro. Sono povero, i nazisti mi hanno portato via tutto; non importa, vivrò povero, morirò povero, ho fiducia nella Provvidenza".

Il 13 febbraio 1945 nella cappella attigua alla sacrestia di S. Maria degli Angeli, alla presenza di una quindicina di persone Zolli fu battezzato da S. E. mons. Traglia, vicegerente della diocesi di Roma. Israele Zolli prese il nome di Eugenio, per riconoscenza a Pio XII, che tanto si era prodigato in favore degli ebrei e la moglie aggiunse al suo nome Emma quello di Maria.

La conversione suscitò un enorme scandalo. Il cardinale Dezza ha raccontato che "il nome di Zolli fu addirittura cancellato dall'elenco dei Rabbini di Roma, il settimanale ebraico uscì listato a lutto, la famiglia fu oggetto di telefonate piene di insulti". Ospitato in Gregoriana Zolli ricevette numerose visite di amici e nemici. Vennero alcuni ebrei americani per convincerlo ad un suo ritorno all'ebraismo, offrendo qualsiasi somma lui desiderasse, ma Zolli restò fermo nel suo proposito.

Intorno alla metà di febbraio Zolli fu ricevuto in udienza privata da Pio XII. Il colloquio si svolse in tedesco. In quell'occasione l'ex rabbino chiese al papa se non fosse possibile togliere, nella liturgia del Venerdì Santo l'aggettivo "perfidi" attribuito ai giude. Il Papa rispose con una dichiarazione in cui spiegava che l'aggettivo "perfidi" voleva dire "increduli" senza quelle connotazioni peggiorative che il termine ha nel linguaggio comune. I tempi non erano ancora maturi per quelle modificazioni liturgiche che vennero realizzate solo dopo il Concilio Vaticano II.

Uomo di studio Zolli riprese il suo lavoro di insegnante. Professore di lingua e letteratura ebraica all'istituto Biblico della Gregoriana, tenne corsi e conferenze non solo a Roma. Nel 1953 si recò negli Stati Uniti invitato dall'Università Notre Dame dell'Indiana per un ciclo di conferenze.

Di fronte a coloro che lo accusavano di tradimento, Zolli rispose: Non ho rinnegato nulla; ho la coscienza tranquilla. Il Dio di Gesù Cristo, di Paolo, non è forse lo stesso Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe? Paolo è un convertito. Ha abbandonato forse il Dio di Israele? Ha forse cessato di amare Israele? È assurdo solo pensarlo.

Prima che le forze lo abbandonassero all'età di 75 anni Zolli scrisse numerosi articoli e anche un libro, Before the Dawn (Prima dell'Aurora).

Antonio Gaspari
(da "Nascosti in Convento",
edizioni Ancora 1999)

RINGRAZIAMENTI

Molte persone si sono messe gentilmente e con prontezza a disposizione di questo lavoro. Un particolare ringraziamento alle Figlie di San Paolo di Sassari e di Roma (Castro Pretorio), a Marco Roncalli (relazioni esterne Edizioni San Paolo), alla signora Emilia Paola Pacelli (traduttrice, insieme a Rita di Castro, del volume di padre Blet), al padre Vittorio Marcozzi e alla signora Sofia Cavalletti, per i loro personali ricordi di Eugenio Zolli, ad Antonio Gaspari per aver messo a disposizione un brano del suo libro, ai colleghi Giuseppe Meloni (che mi ha aiutato col francese e ha corretto con pazienza le bozze di questo lavoro) e Salvatore Madau (che ha rimesso a posto le mie foto maldestre). Un vivissimo ringraziamento al padre Pierre Blet per la sua lezione di verità.

Pio XI: «A Roma niente svastiche»

Pio XI: «A Roma niente svastiche»
Avvenire, 20/9/06
Documenti dall’archivio segreto vaticano mostrano l’ostilità di Pio XI alla visita di Hitler in Italia nel maggio 1938. Il Papa lo definì «il più grande persecutore della Chiesa».
La recente apertura dei fondi dell'Archivio segreto vaticano sul pontificato di Pio XI impone un doppio registro di riflessione. Da un lato, l'anelito allo scoop rischia di snaturare il senso di un'operazione culturale assai profonda. Dall'altro, la ricerca su un imponente patrimonio archivistico quale quello ora disponibile esige riflessione e ponderazione, e comunque analitica freddezza. Un punto di attrazione delle nuove carte riguarda il triangolo Vaticano-Italia fascista-Germania nazista. Per la Santa Sede, la politica tedesca dell'Italia fascista comporta numerosi problemi.Hitler ha rinnegato la «pace dei vincitori» e, all'inizio del 1938, la Germania nazista si accinge ad annettere l'Austria, primo passo verso un «nuovo ordine». Che cosa manca a Hitler? Un alleato, che contrasti la pressione franco-britannica. L'Italia è alla portata, ma Mussolini resiste: siamo talmente amici che non abbiamo bisogno di firmare un'alleanza che confermi che lo siamo. Un argomento che sa tanto di escamotage, e che rafforza la cordata antitedesca presente nel regime fascista e alimenta le speranze in Vaticano. Che fare adesso che Hitler (siamo nella primavera del 1938) sta per ricambiare la visita a Mussolini, recandosi nella Roma cristiana? E, per ciò che ci interessa, che dirà il Papa?L'apporto delle carte vaticane si rivela allora preziosissimo. La Santa Sede viene informata per tempo dell'arrivo in Italia del dittatore tedesco. Una nota di Pacelli del 16 marzo 1938 ci informa che Pio XI era rimasto molto soddisfatto dalle notizie recategli dal padre Tacchi Venturi, navetta ufficiosa fra il papa e il duce, in merito agli interventi di Mussolini «contro la continuazione della politica di persecuzione religiosa in Germania». Ma quasi subito l'aria andò scurendosi. Il 23 marzo Il Messaggero pubblicò una «velina» governativa su come accogliere degnamente Hitler. «Perché la manifestazione risulti degna dell'Urbe è opportuno che i proprietari di fabbricati siti lungo il percorso ufficiale (Via Ostiense, via delle Piramidi, viale Aventino, via dei Trionfi, via dell'Impero, via IV Novembre, via Nazionale, via XXIV Maggio, Corso Umberto, corso Vittorio Emanuele, via della Conciliazione), preparino i progetti di decorazione degli stabili». Via della Conciliazione? In Vaticano ciò causa sorpresa. Pacelli «ha chiamato S. E. l'Ambasciatore [italiano] e gli ha prospettato la sconvenienza della cosa», si legge in un appunto anonimo.Sull'onda di queste notizie allarmanti, il 24 marzo il cardinale Pacelli impartisce un ordine preciso. Si dica a Mussolini che portare Hitler in una via della Conciliazione impavesata di croci uncinate «sarebbe cosa da fare grande dispiacere al S. Padre. Ci si chiede anche «se l'apoteosi spinta a quegli eccessi di un nemico così confesso non sia contraria all'art. I del Concordato». Il voler portare Hitler vicino al Vaticano, «è cosa che corruccia il S. Padre». È l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Pignatti Morano di Custoza, a rassicurare il Papa: «Nel tracciare gl'itinerari che il Führer dovrà percorrere durante la permanenza a Roma - si legge in un appunto segreto per Pacelli - è stato attentamente evitato il passaggio per la via della Conciliazione e la piazza San Pietro». Ma in via strettamente confidenziale l'ambasciatore aggiunge che Hitler transiterà giocoforza per il viale Vaticano «mancando altre convenienti strade di accesso alla località alle quale il Führer dovrà recarsi». Anche gli addobbi degli edifici privati, che il Governo ha ordinato di apporre in via della Conciliazione, eviteranno «ogni esagerazione che possa riuscire spiacevole alla Santa Sede». Il papa accetterà questa soluzione di ripiego? Un'osservazione manoscritta di Pacelli lo chiarisce: «Il S. Padre deplora anche questo passaggio. Nulla da scrivere».Gli eventi successivi sono densi. Il Vaticano ha sconfessato la dichiarazione dei vescovi austriaci, i quali pronunciandosi per l'Anschluss hanno dato prova di «mancanza di fiducia e di lealtà» nei confronti della Chiesa. Rivelatore è anche l'ordine impartito da Pacelli il 21 aprile del 1938 all'episcopato italiano: «Qualora, in occasione della venuta in Italia del Cancelliere, gli Eccellentissimi vescovi ricevessero inviti per intervenire a cerimonie in suo onore, il S. Padre desidera si astengano dall'accettarli».A pochi giorni all'arrivo di Hitler, il 24 aprile, Pio XI impartisce precise istruzioni al nunzio in Italia. Occorre comunicare al governo italiano che «l'uomo, al quale si preparano tanti festeggiamenti, è oggi il più grande persecutore della Chiesa». Le istruzioni vengono eseguite quattro giorni dopo, quando Borgongini viene ricevuto dal ministro Buffarini Guidi, che chiede se sia vero che il papa starebbe ritardando la sua partenza per Castel Gandolfo per non chiudere la porta a Hitler. «Sono persuaso - è la risposta del nunzio - che, se Hitler domandasse l'udienza nei debiti modi, il Papa sarebbe capace di ritornare da Castello per riceverlo». Al che Buffarini: «Quali sono questi debiti modi?». Chiara la replica del nunzio: «Certo il Papa non si contenterebbe di riceverlo solamente per sentirsi dire: buongiorno o buonasera. Ma avrebbe bisogno, io penso, come condizione preliminare che il Führer facesse una dichiarazione pubblica di cambiamento di rotta, e, naturalmente, secondo un testo da prestabilirsi». Le condizioni poste dal Vaticano sul «cambiamento di rotta» da imporre a Hitler persuasero il ministro italiano che le vie del Papa e del Führer non si sarebbero mai incontrate.A fine aprile il Governo italiano dà notizia ufficiale dell'arrivo di Hitler il 2 maggio a Roma. «Ho detto all'Osservatore Romano - si legge in un appunto anonimo della Segreteria di Stato - di non pubblicare questa notizia e tacessero sulla venuta di Hitler». Com'è noto, questo silenzio fu amplificato dalla partenza del Papa per Castel Gandolfo, e dalle parole da lui pronunciate in un'udienza, in cui diceva che stavano accadendo «tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un'altra croce, che non è la Croce di Cristo».Tutti gli organi di stampa europei (di cui gli archivi vaticani conservano ampi stralci) colsero la visita di Hitler in Italia come la prova più evidente di una crisi nei rapporti tra la Germania nazista e il Vaticano. «I giornali hanno ricevuto l'ordine del ministero della Stampa di ignorare l'allocuzione del Papa contro la Germania - riferisce un appunto vaticano anonimo -. Negli ambienti giornalistici si parla di un'enciclica contro Hitler».Le carte vaticane, dunque, non solo chiariscono l'incolmabile distanza esistente tra il Vaticano e la Germania nazista in questo delicatissimo frangente, ma ci narrano anche delle preoccupazioni della Santa Sede verso una politica estera italiana vertiginosamente vicina a Hitler il quale, solo un anno dopo, avrebbe coronato il suo sogno: il fatale Patto d'acciaio tra Berlino e Roma.

Le radici dell'antisemitismo

Spiritualmente siamo semiti
di Antonio Gaspari, Tempi, 7/2/2002
L’antisemitismo moderno che porta alla Shoah parte da Voltaire e si sviluppa in ambienti gnostici e neopagani. Sulla base di teorie razziali, l’antisemitismo viene stigmatizzato in Europa da Pierre De Coubertin e Stewart Chamberlain. Chiunque guardi a questa parte della storia può facilmente constatare come l’unica opposizione argomentata, solida e sistematica alle teorie razziali ed eugenetiche fu portata avanti dai Papi e dalla Chiesa cattolica.
Il libro scritto da David Kertzer I papi contro gli ebrei (Rizzoli 2002) ha destato un certo scalpore, ma, come dice un vecchio adagio, «tanto rumore per nulla». Kertzer sostiene la tesi secondo cui «Seppure il Vaticano non abbia mai approvato lo sterminio degli ebrei le dottrine e le azioni della Chiesa, incluse quelle degli stessi pontefici, hanno contribuito a renderlo possibile». Nonostante la gravità dell’accusa, il volume non dimostra questa tesi. L’argomentazione è riduttiva, superficiale, viziata da banali generalizzazioni, non contiene argomentazioni nuove e originali, e soprattutto le citazioni di personaggi e documenti sono sempre riportate al di fuori del contesto storico. Come si fa a non considerare che già alla fine dell’800 esisteva un clima antisemita largamente diffuso proprio da personaggi ed in ambienti radicalmente anticattolici?
Un’Associazione Antisemitica Americana a cui aderivano autorevoli e prestigiosi personaggi esisteva negli Stati Uniti già nel 1896. Nel settembre 1918, il Governo americano pubblicò dei documenti con il titolo «The German Bolshevick Conspiracy» (la cospirazione tedesco bolscevica), in cui si sosteneva che esisteva una cospirazione internazionale di ebrei contro l’America. Henry Ford pubblicava un giornale, il Dearborn Independent, in cui si accusavano gli ebrei di essere guidati da un segretissimo comitato mondiale, per imporre il loro potere sull’intero pianeta. Anche sulla base di queste accuse venne varata nel 1921 una legge restrittiva sull’immigrazione il cui scopo era anche quello di arginare l’immigrazione ebraica negli Usa.

L'antisemitismo moderno nasce in ambenti gnostici e neopagani
Stupisce soprattutto notare che Kertzer non tiene in nessun conto il fatto che l’antisemitismo moderno che porta alla Shoah parte da Voltaire e si sviluppa in ambienti gnostici e neopagani. Sulla base di ardite quanto inconsistenti teorie razziali, l’antisemitismo viene stigmatizzato in Europa da Pierre De Coubertin e Stewart Chamberlain. Ma è soprattutto nell’ambito delle influenti Società Eugenetiche che l’antisemitismo assume tutte le caratteristiche pseudoscientifiche di igiene razziale. Non è un caso che Madison Grant, fondatore della Società Eugenetica Usa, autore di The Passing of the Great Race in cui si teorizza la supremazia degli ariani e si propone la selezione della razza, venne premiato nel 1934, dall’antropologo nazista Hans F.K. Gunther per essere uno dei “padri spirituali” della legislazione sulla razza del regime hitleriano. Chiunque guardi a questa parte della storia può facilmente constatare come l’unica opposizione argomentata, solida e sistematica alle teorie razziali ed eugenetiche fu portata avanti dai Papi e dalla Chiesa cattolica. I Pontefici Benedetto XV, Pio XI e Pio XII in particolare denunciarono, in maniera forte e chiara, natura e origine delle teorie razziali. Ben prima che i nazisti salissero al potere, il 25 marzo del 1928, il Sant’Uffizio decretò che: «La chiesa cattolica ha sempre avuto la consuetudine di pregare per il popolo ebraico che fu il depositario delle promesse divine fino a Gesù Cristo... Con quale spirito di carità la Sede Apostolica ha sempre protetto questo popolo contro le ingiuste vessazioni! Poiché è contraria a ogni odio e animosità fra i popoli, la sede apostolica condanna nel modo più deciso l’odio contro il popolo un tempo retto da Dio, un odio che oggi si è soliti designare con nome di “antisemitismo”».
Pio XI: "spiritualmente siamo semiti"
Mentre nel 1936 si permise ad Hitler di organizzare le Olimpiadi a Berlino, il 14 marzo del 1937 Pio XI scrisse l’enciclica Mit brennender Sorge, la più dura reprimenda di un pontefice contro un regime politico. Il 6 settembre del 1938 Pio XI affermò: «L’antisemitismo non è ammissibile. Spiritualmente noi siamo semiti». E quando l’8 maggio del 1938 Hitler venne in visita ufficiale a Roma, Pio XI si ritirò a Castelgandolfo e fece chiudere i Musei Vaticani per impedire che i nazisti mettessero piede in Vaticano. Papa Ratti fece sapere di «essere rattristato nel vedere inalberata una Croce che non era quella di Cristo». Altro che antisemitismo! Quali altri personaggi pubblici, autorità politiche o oppositori al regime, ebbero il coraggio di opporsi prima della guerra, in maniera così coraggiosa contro le teorie razziste ed il regime nazista?