sabato 3 marzo 2007

Pacs e Dico: domande e risposte

Zenit, mercoledì 28 febbraio 2007
Intervista a Samek Lodovici sui contenuti del progetto di legge
Il ruolo della famiglia monogamica, la richiesta di matrimonio da parte degli omosessuali, le proposte di legge sulle coppie di fatto, sono al centro di un intenso dibattito tra Chiesa cattolica e istituzioni civili.
In Europa dove ogni tre minuti c’è un divorzio o una separazione e dove la crescita demografica è sotto lo zero, la Chiesa teme un ulteriore indebolimento della famiglia monogamica e della capacità e volontà di procreazione.
In molti Paesi europei sono passate legislazioni a favore delle unioni di fatto e dei matrimoni fra persone omosessuali, ma in Italia il Pontefice Benedetto XVI, la Santa Sede, la Conferenza Episcopale e l’intero mondo cattolico, si sono mobilitati per impedire quella che definiscono come una ulteriore deriva morale.
Per cercare di capire a fondo le implicazioni della legislazione proposta (Dico) e per rispondere a tutti i quesiti sollevati circa i diritti delle coppie di fatto, Zenit ha intervistato il professor Giacomo Samek Lodovici, assegnista di ricerca in Filosofia morale all'Università Cattolica di Milano, dove ha conseguito il dottorato di ricerca e vinto il Premio Gemelli quale miglior laureato in filosofia (nel 1999).

Alcuni sostengono che sui Pacs (e sui Dico) i cattolici vorrebbero imporre la loro visione religiosa anche a chi non è credente? È Vero?
Samek Lodovici: Ci sono varie ragioni laiche, che non richiedono di essere credenti, per rifiutare i progetti di istituzione dei Pacs (magari non li si chiama con questo nome, e li si chiama Dico, ma la sostanza cambia poco), cioè riguardanti il riconoscimento pubblico delle unioni tra i conviventi. 

Il matrimonio non è una invenzione cristiana: è stato istituito molto prima
Per esempio Aristotele scrive: «L’amicizia tra marito e moglie […] è naturale: l’uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato». [Etica Nicomachea 1162a 16-19].
Ancora, per esempio, il matrimonio romano è sempre stato monogamico e solo tra un uomo e una donna. In età neroniana lo stoico Musonio Rufo (cfr. gli studi di I. Ramelli) nelle sue Diatribe spiega che la famiglia va protetta perché è il fondamento della società civile e della prosperità comune e dice che va protetta la vita che in essa nasce. Addirittura, dice che la vita dovrebbe nascere soltanto nella famiglia. E quando Nerone per due volte convola a nozze omosessuali viene biasimato duramente da Tacito, Svetonio e Cassio Dione.

Perché lo Stato dovrebbe proteggere il matrimonio monogamico?
Samek Lodovici: Perché deve incentivare quelle forme di vita che contribuiscono al bene comune e che tutelano i deboli e gli indifesi, quindi in primo luogo deve incentivare la procreazione, la cura e l’educazione dei figli, che assicurano la sopravvivenza della società e la protezione dei deboli per eccellenza, cioè i bambini. Mettiamoci appunto dalla parte dei bambini. È chiaro che il contesto più propizio per la loro nascita, cura ed educazione è una forma di relazione caratterizzata dall’amore, dalla stabilità e dalla coesione. Per contro, le convivenze sono connotate (con poche eccezioni) dalla provvisorietà, sono intenzionalmente di breve durata, perché i conviventi non si impegnano con alcun vincolo a rimanere insieme.
Per esempio, gli uomini che convivono sono 4 volte più infedeli dei mariti, e le donne conviventi tradiscono 8 volte di più delle mogli (cfr. Gallagher - Waite, 2000). Un gruppo di ricercatori della Rutgers University (USA) ha mostrato che su 4 bambini nati da coppie di fatto, 3 patiscono la sofferenza della rottura dell’unione dei loro genitori prima dei 16 anni di età, e rimangono a vivere con un solo genitore.
S. Brown – della Bowling Green State University (Usa) – ha inoltre documentato che i figli delle coppie di fatto soffrono di disordini psicologici (come asocialità, depressione, difficoltà di concentrazione) più frequentemente rispetto a quelli degli sposati. In più, il tasso di violenza domestica è molto più alto tra le coppie di fatto che tra quelle coniugate e la depressione è 3 volte maggiore tra i conviventi che tra gli sposati.

Perché opporsi ai matrimoni omosessuali?
Samek Lodovici: Quanto alle coppie omosessuali, è ovvio che esse non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società.
Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini. Ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna.
Xavier Lacroix ha criticato efficacemente l’attendibilità di alcuni dati che vengono citati per sostenere che per un bambino essere adottato da omosessuali è indifferente. Al contrario, i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi (cfr. Deevy, 1989, p. 34), per almeno i seguenti 5 motivi.
1) La già menzionata assenza della figura materna/paterna. È vero che ci sono casi della vita in cui i bambini trovano le figure di riferimento femminile/maschile fuori dalla coppia genitoriale; ma ciò è un rimedio che non si verifica sempre e che non intacca l’inaccettabilità della privazione iniziale. Esistono situazioni particolari (per es. in tempo di guerra) in cui alcuni bambini vengono allevati da due donne; ma una situazione eccezionale dà adito a soluzioni eccezionali che non possono essere la norma, né un bene.
2) La brevità dei legami omosessuali, che si infrangono molto più frequentemente di quelli delle coppie coniugate, con o senza figli. D. McWirther e A. Mattison, che sono ricercatori gay (quindi non sospettabili di parzialità), hanno esaminato 156 coppie omosessuali: solo 7 di queste avevano avuto una relazione esclusiva, ma comunque nessuna era durata più di 5 anni. Le relazioni omosessuali durano in media un anno e mezzo i maschi gay hanno mediamente 8 partner in un anno fuori dal rapporto principale (Xiridou, 2003). In un’ampia ricerca di un volume di ben 506 pagine (si noti che questo volume è stato pubblicato dall’Istituto Kinsey, che non è certo ostile all’omosessualità, anzi l’ha fortemente promossa) di A.P. Bell e M.S. Weinberg (Homosexualities: A study of diversity among men and women, Simon & Schuster, New York 1978) svolta su un campione americano, si mostrava che su 574 uomini omosessuali solo l’1 % aveva avuto 3-4 partner, il 2 % 5-9, il 3 % 10-14, il 3% 15-24, l’8 % 25-49, il 9 % 50-99, il 15 % 100-249, il 17 % 250-499, il 15 % 500-999, il 28 % 1000 (mille) e più. Ed un’indagine su 150 uomini omosessuali di età tra i 30 e i 40 anni ha mostrato che già a quell’età il 65% aveva avuto più di 100 (cento) partner sessuali (cfr. Goode – Troiden, 1980). Ci sono rare coppie omosessuali che continuano a coabitare per più anni, ma tra loro non c’è quasi mai esclusività nei rapporti.
3) Gli omosessuali hanno probabilità molto superiori di avere una salute peggiore, di avere problemi psicologici (cfr. Rothblum, 1990, p. 76; Welch, 2000, pp. 256-263), che si ripercuotono sui bambini. Anche in Olanda, dove il clima culturale è molto tollerante verso l’omosessualità, uno studio su 7.076 soggetti ha mostrato che i disturbi psicologici degli omosessuali sono davvero numerosi (cfr. Sandfort, 2001, pp. 85-91). Forse è anche per questo motivo che nell’ambiente omosessuale la percentuale di suicidi è superiore alla media. Infine, il tasso di violenza è assai alto (Cameron, 1996, pp. 383-404).
4) I bambini che vengono adottati hanno alle spalle già una storia di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi «che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi» (Lacroix, p. 56).
5) Ancora, «è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro”» (Lobbia – Trasforini, p. 89).

Le convivenze si sfasciano spesso, ma anche i matrimoni naufragano...
Samek Lodovici: Sappiamo e vediamo tutti che anche un matrimonio può naufragare. Però è certamente l’istituto giuridico che dà le maggiori garanzie di durata perché, mentre per il matrimonio la fragilità è una forma di patologia, per le altre unioni essa è la norma, visto che non si impegnano a restare unite e come si riscontra dai dati poc’anzi riportati. Abbiamo già citato dati americani: 3 bambini su 4 nati da coppie di fatto vedono il naufragio dell’unione dei loro genitori prima dei 16 anni di età. Ma quante sono le coppie conviventi che naufragano rispetto a quelle coniugate? In Gran Bretagna il 75 % dei crolli delle coppie che hanno bambini piccoli riguarda genitori non sposati (cfr. www.avvenireonline.it/Famiglia/Documenti+e+Rapporti/20060112.htm). Se dunque il matrimonio è come una casa costruita per abitarci per tutta la vita e che può crollare, gli altri tipi di unione sono come delle case costruite per stare in piedi solo per un certo periodo, dopo il quale crollano quasi sempre.

Dunque lo Stato dovrebbe proteggere il matrimonio monogamico per il bene dei bambini? Samek Lodovici: Dunque, se ci mettiamo dalla parte dei bambini, vediamo che il matrimonio monogamico dà maggiore garanzie di stabilità, perché:
a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame;
b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno;
c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo. Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società.

Perché i Dico potrebbero favorire la transizione di alcune convivenze verso il matrimonio?
Samek Lodovici: Di per sé questo è possibile, dato che concedono alcuni benefici e diritti solo dopo un certo numero di anni. Però, il rischio, naturalmente, è che questo numero di anni venga progressivamente accorciato da successivi interventi legislativi. Ma immaginiamo pure che ciò non avvenga. Restano almeno due forti obiezioni:
1) Niente impedisce ai conviventi che fanno un Dico di lasciarsi in qualsiasi momento mediante una semplice raccomandata, perché essi non sono reciprocamente vincolati, come lo sono invece i coniugi. Per esempio, al coniuge che abbandona il tetto coniugale può essere addebitata la separazione, il che può precludere l’assegno di mantenimento. Oppure, per fare un altro esempio, i coniugi che vogliono divorziare non ottengono il divorzio prima che siano trascorsi tre anni dalla separazione. Il che significa che hanno un periodo per un ripensamento e, a volte, cambiano idea. In Spagna Zapatero ha introdotto il cosiddetto divorzio express, che riduce i tempi del divorzio a soli tre mesi, cioè ha quasi cancellato i tempi per un ripensamento. Così i divorzi sono aumentati: erano 52.591 all’anno prima della legge, sono diventati 82.340 già nei soli primi sei mesi del 2006.
2) Soprattutto il problema è che i Dico creano un modello concorrenziale alternativo al matrimonio, perciò lo indeboliscono, diminuendo il numero complessivo dei matrimoni: quindi il bilancio complessivo sarà sicuramente a sfavore del matrimonio. In termini complessivi ci sarà una diminuzione di matrimoni (pur conteggiando la possibile transizione di alcuni Dico in matrimoni) e un aumento di convivenze o di Dico. Perché lo indeboliscono? Perché non bisogna trascurare l’impatto (di cui parlavano, ben prima del cristianesimo, per es., Platone e Aristotele) della legislazione sui comportamenti di un popolo. Per esempio, in Olanda il consumo di stupefacenti è aumentato dopo la loro legalizzazione; in Italia la legge sul fumo ha comportato una diminuzione generale del consumo di sigarette; sempre in Italia, secondo l’Istat, la legge sul divorzio (1970) ha fatto precipitare i matrimoni: erano 419.000 nel 1972, sono scesi a 250.000 nel 2005; in Spagna abbiamo già detto che la legge sul divorzio express ha aumentato i divorzi. È vero, per esempio, che la legge contro l’aborto non lo ha eliminato; ma neanche la legge sul furto ne cancella l’esistenza, eppure non pensiamo certo di abrogarla, perché i furti aumenterebbero se questa legge e le sue sanzioni non ci fossero. Insomma, l’istituzionalizzazione di una prassi la diffonde:
1) perché spesso si pensa che ciò che è legale sia anche morale e dunque cadono le remore etiche;
2) perché la legalizzazione di una prassi la rende più comodamente accessibile;
3) perché elimina le pene e le sanzioni. È vero che le convivenze (giustamente) non sono proibite dalla legge e non comportano sanzioni. Ma la loro istituzionalizzazione le diffonde, a discapito del matrimonio. Primo, perché le rende più allettanti, giacché i Dico danno la possibilità di godere di vari benefici ed incentivi, a fronte di nessuno o pochi doveri, che invece i coniugi si assumono: perché sposarsi se si possono avere gli stessi diritti e quasi nessun dovere mediante il Dico? Perché rischiare, in caso di naufragio del matrimonio, di dover sopportare tutte le fatiche burocratiche, le spese economiche e lo stress psicologico di un divorzio quando è possibile sciogliere un Dico con una comunicazione? Secondo, perché le riconosce socialmente, dicendo che l’ordinamento non ritiene più, come è stato fino ad oggi (per le buone ragioni che sono state spiegate ai punti n. 2, 3 e 4), che le relazioni affettive matrimoniali siano le più auspicabili, bensì prospetta varie possibilità, che a livello di diritto sono equiparate. Del resto, l’impatto della legislazione pro Pacs nella sottoscrizione di questo istituto, di questa pratica si vede bene dal caso francese: nel 2000, primo anno di applicazione della legge, furono 22.000; nei soli primi nove mesi del 2006 ne erano già stati stipulati altri 57.000, per un totale di 200.000 dal 2000. Ogni anno, insomma, c’è stato un incremento costante. Ma anche a prescindere dall’aumento progressivo di Pacs è chiaro che saranno sempre di più le persone che, pur non stipulandoli, vivranno relazioni affettive deboli, non matrimoniali, senza assunzione di responsabilità, senza progetto.
Alcuni, anche tra i cattolici, sostengono il principio: “Io non voglio fare un Pacs (o un Dico), ma non posso impedire agli altri di farlo”. Come rispondere a questa argomentazione?
Samek Lodovici: Invece è giusto rispondere no ai Dico, perché queste forme di simil matrimonio danneggiano i bambini, cioè i deboli per eccellenza, e danneggiano lo Stato stesso. Il che non significa vietare le convivenze, ma solo che esse non debbono essere istituzionalizzate.
Ma lo Stato concede incentivi anche ai coniugi che non possono o non vogliono adottare...
Samek Lodovici: È vero, ma uno Stato che controllasse le intenzioni dei coniugi e la loro capacità generativa sarebbe oppressivo. Quel che è certo è che in generale il matrimonio tra un uomo e una donna è, in forza della sua maggiore stabilità, l’ambito più adatto per l’educazione e la crescita dei bambini e, dunque, chiunque si sposa rappresenta un esempio per le giovani generazioni, perlomeno per la volontà di dare al rapporto una dimensione di durata e stabilità: perciò è giusto che lo Stato incentivi comunque il matrimonio.
Rifiutare i Pacs (e i Dico) non vuol dire discriminare i conviventi?
Samek Lodovici: I sostenitori dei Pacs o Dico, affermano che i conviventi sono discriminati. Invece, la vera discriminazione viene proprio dai Pacs e dai Dico, e colpisce i coniugi, perché essi si sono formalmente assunti degli obblighi (per es., di coabitazione, di curarsi reciprocamente, di educare un figlio anche se non è proprio, di contribuire ai bisogni della famiglia, di versare gli alimenti in caso di separazione o divorzio). Perciò, riconoscendo le unioni di fatto, lo Stato attua un atto giuridico a senso unico, perché si assume delle obbligazioni verso i conviventi, mentre questi non ne assumono alcuna, riconosce loro facilitazioni ed incentivi (per es. per comprare la casa, o la pensione di reversibilità, o l’accesso alle case popolari, ecc.) senza esigere in cambio i doveri che invece esige dai coniugi.

E la possibilità di assistere il convivente all’ospedale, o quella di subentrare nel contratto di locazione, non sono diritti giustamente reclamati dai conviventi?
Samek Lodovici: In realtà i conviventi hanno già tali diritti e li hanno anche i loro figli. Per esempio, “la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima” (art. 30 della Costituzione). Se i conviventi vogliono far appartenere un immobile ad entrambi, è sufficiente che ne divengano acquirenti insieme. Se uno dei conviventi muore, l’altro può subentrargli nel contratto d’affitto, purché entrambi stipulino il contratto. E l’art. 6 della L. 392/78 ha stabilito, dopo l’intervento della Corte Costituzionale (n. 404/88), che in caso di morte del conduttore, nel contratto gli succede anche l’eventuale convivente. Questa stessa sentenza dice che se una convivenza termina, se sono nati dei figli, l’alloggio può restare al convivente insieme ai figli, anche qualora il conduttore sia l’altro convivente. Se l’assegnatario ad un alloggio di edilizia popolare abbandona l’alloggio attribuitogli, il convivente ha diritto a succedergli (sentenza 559/89). Ancora, è vero che il convivente non è erede, ma ciò può avvenire, limitatamente alla quota disponibile, mediante testamento. La Corte non ha voluto equiparare la convivenza al matrimonio, ma solo tutelare il diritto del singolo, e in particolare quello dei figli, all'abitazione.
I Dico invece prevedono che i conviventi in quanto coppia (e non più in quanto singoli) entrino nelle graduatorie per le case popolari e subentrino nel contratto d’affitto. I Dico attribuiscono ai conviventi l’eredità, in ciò avvicinandoli ai coniugi. Se uno si trova all’ospedale, la legge sui trapianti d’organo (cfr. legge n. 91/99) dispone che il convivente possa assisterlo ed esprimere il suo parere circa le cure. Quanto al caso di omicidio, il convivente superstite ha diritto al risarcimento del danno morale (e anche di quello patrimoniale, se è dimostrato che la convivenza era stabile e costituiva un presupposto per un apporto economico futuro e costante). Infine, nel processo penale la legge esenta dall’obbligo di deporre anche il convivente. È vero, la pensione di reversibilità non spetta al convivente:
1) la Corte Costituzionale (461/2000) ha spiegato che essa non è un diritto umano fondamentale;
2) la sua attribuzione esige una certezza di rapporto, per evitare frodi;
3) è un giusto beneficio e privilegio per il matrimonio, data la sua funzione sociale. Però, anche in questo caso, nel campo pensionistico l’autonomia privata viene incontro ai conviventi, che possono stipulare polizze assicurative volontarie.