sabato 10 novembre 2007

Evoluzionismo: solo una teoria

Un manuale di biologia senza lo schema scimmia-uomo
di Marco Respinti, Il Foglio 7 novembre 2007
Un pool di scienziati analizza i limiti dell’evoluzionismo usando solo la scienza
I presupposti del darwinismo sono ancora da dimostrareLunedì al Festival della Scienza di Palazzo Ducale a Genova, lo ha detto piuttosto decisamente Massimo Piattelli Palmarini, scienziato cognitivo che si divide fra Università San Raffaele e Università dell’Arizona (sul tema annuncia addirittura un libro intero, che sta scrivendo con il collega statunitense, ateo, ateissimo, Jerry Fodor, filosofo della mente). Il neodarwinismo, dice Piattelli Palmarini (cioè il makeup con cui l’evoluzionismo si è rifatto la cera a fronte degli scacchi mossigli dalla genetica), si fonda su ciò che invece è ancora tutto da dimostrare. Le perplessità scientifiche sulla “selezione naturale”Il concetto di “selezione naturale” (perno irrinunciabile di darwinismo e neodarwinismo) è piuttosto vago e quando va bene astratto. E le scoperte più recenti contaddicono il dogmatismo tetragono con cui i neodarwinisti difendono in modo trinariciuto i segreti de “L’origine della specie”. Insomma, l’evoluzionismo è una ipotesi che fa acqua da molti pori e i suoi fondamenti si contraddicono l’un l’altro (“selezione naturale” come scelta operata assieme da natura e caso cieco). Altro che scienza. Sul punto il dibattito fiorisce da tempo e la letteratura cresce. In pochi anni i titoli che mettono in crisi questo o quel punto dell’impianto teoretico evoluzionistico (senza per questo essere però automaticamente ascrivibili al “creazionismo” o persino alla più “morbida” idea del “progetto intelligente”) si sono moltiplicati rapidamente; e se fare dell’antidarwinismo resta ancora sempre piuttosto scorretto, politicamente parlando, la cosa appare comunque oggi un tantino meno scriteriata che non solo qualche tempo fa. La parola agli addetti ai lavoriIl salto vero di qualità è venuto peraltro quando del tema si sono messi a trattare seriamente dei veri addetti ai lavori, scienziati autentici (biochimici, cosmologi, paleontologi, antropologi) i quali sono venuti così ad affiancarsi a divulgatori di buon spirito ma magari di poche conoscenze specifiche e a confortare quei pionieri per lungo tempo lasciati soli a combattere una buona battaglia che però a molti sembrava una carica contro i mulini a vento. Due nomi per tutti, e italiani, Giuseppe Sermonti, genetista, e Roberto Fondi, paleontologo.Un testo che parla di scienza e solo di scienzaDi libri così ne è appena uscito un altro, che però non è solo un libro in più da archiviare sullo scaffale appropriato. Si tratta di “Evoluzione. Un trattato critico. Certezza dei fatti e diversità delle interpretazioni”. Lo pubblica l’editore Gribaudi di Milano con prefazione di Fernando De Angelis. Ne sono autori un pool di scienziati (chimici, paleontologi, biologi, antropologi, informatici, botanici, embriologi) coordinati dai due curatori dell’opera, scienziati pure loro, Reinhard Junker e Siegfried Scherer, entrambi biologi e quest’ultimo citato da Papa Ratzinger come esempio di scienza non darwinista. Ebbene era il testo che attendevamo, tutti. Il “noi” qui non è maiestatico, ma un soggetto collettivo che comprende sia darwinisti sia antidarwinisti, critici e partigiani, credenti e non, scienziati e profani, possibilisti, dubbiosi e rigoristi. Era il testo che tutti attendevamo perché si tratta di un libro di biologia che anzitutto si occupa della materia in oggetto, la vita organica sul pianeta Terra, lasciando ad altra sede l’approccio polemico e critico. E questo dovrebbe far davvero contenti un po’ tutti. Che i fatti biologici vengano cioè presi in considerazione per quello che sono e che dicono oggettivamente, prima e al di là di ogni considerazione ulteriore, è cosa che di per sé dovrebbe risultare gradita a ogni partito.Il libro fa luce su alcune teorie infondateIl libro in questione nasce in Germania nel 1998 e oggi è giunto alla sesta edizione. Su questa è stata condotta la versione italiana, la prima. Tedesco è lo stile del libro, tedesco l’approccio che esso segue, tedesca l’assoluta serietà dell’analisi che propone, rigorosamente tecnica senza mai essere solo tecnicistica. Il suo pregio, enorme, è quello di descrivere (quindi non solo di affermare) cose diverse rispetto a quelle che normalmente si leggono sui testi di genere, consuetamente improntate a un secco determinismo a supporto del quale non esistono però riscontri empirici. La squadra di specialisti coordinata da Junker e Scherer questo infatti anzitutto e soprattutto fa. Ricorda, e mostra, come infondata sia per esempio la pretesa di far derivare la vita organica dalla materia inanimata, di come i fossili non attestino affatto specie viventi in fase di mutazione (a metà insomma, in transizione) ma solo specie in sé conchiuse, di come giocare con le permutazioni genetiche possa pure risultare affascinante ma comunque sia assai poco sfruttabile per desumerne il concetto di speciazione macroevolutivo caro a ogni tipo di darwinisti, e via di questo passo.Un libro didattico basto sull’onestà scientificaIl tutto usando la biologia e solo la biologia. Il libro lo mostra raccontando infatti quel che la scienza ha fin qui accertato, quel che la scienza non sa (ancora?) dire, quel che la scienza non può invece (“statutariamente”) dire. Un gran bel libro, insomma, e utile. Ma il suo maggior vantaggio è l’essere un libro pensato appositamente per la didattica. Ha figure (tante, belle, colorate), schemi e schemini a iosa, diagrammi e alberi genealogici in abbondanza, specimen e illustrazioni. E poi riassuntini, esplosi, box e boxini, utili all’insegnamento, all’apprendimento, alla memorizzazione. È cioè un testo nato per le scuole e che nelle scuole di ogni ordine e grado (lo si può infatti leggere e insegnare a più livelli) farebbe un gran bene a tutti, se insuperabili non fossero quelle forche caudine ministeriali che detengono la prima e l’ultima parola sull’adottabilità di un determinato testo in aula. Forse il testo non potrà mai ufficialmente figurare sui banchi delle scuole, ma costituisce una superba lezione di scienza, di metodo scientifico, di ragione intelligente. L’unica sua partigianeria è quella di raccontare le cose esattamente come gli specialisti le conoscono. Il resto è solo letteratura, talvolta di pessima qualità.

giovedì 1 novembre 2007

Clemente V: non condannò i Templari

(31 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
INCONTRI Il prefetto dell' Archivio segreto vaticano parla dei documenti da poco scoperti
Scagionato Clemente V: non condannò i Templari
«Il Papa assolse i cavalieri». A scioglierli fu solo Filippo il Bello
La pergamena che contiene la deposizione davanti ai teologi della Sorbona di Jacques de Molay, gran maestro dell' Ordine del Tempio, poi condannato al rogo, nel processo per eresia che gli era stato intentato su istigazione di Filippo il Bello, deciso a mettere le mani sul ricco patrimonio dei Templari, porta la data dell' ottobre 1307. Esattamente settecento anni dopo, il Vaticano edita un volume che raccoglie la copia anastatica di tutti i documenti riguardanti l' antico e molto discusso processo, alcuni dei quali, come la pergamena di Chinon, ritrovati solo di recente (ritrovati non nel senso che fossero andati perduti, bensì catalogati in modo vago nell' Archivio segreto vaticano, tanto che per secoli sono rimasti separati e in ombra). Pergamena che testimonia senza ombra di dubbio che Clemente V, sia pure Papa avignonese e, per di più, di famiglia francese, cercò di contrastare il progetto assai poco cristiano del re di Francia, assolvendo l' Ordine dall' accusa di eresia e reintegrandolo nei sacramenti. «Absolutionis» si può leggere chiaramente in una delle ultime righe del manoscritto e, subito sotto, «reintegrantes ad Ecclesiam». Processus contra Templarios si chiama il grande volume, in veste preziosissima, di cuoio, di stoffa e pergamena, curato dagli officiali dell' Archivio segreto e stampato in 799 copie (prezzo intorno ai 5 mila euro), per le quali stanno arrivando richieste di acquisto da tutto il mondo, da biblioteche e istituzioni ma anche da collezionisti privati, sceicchi arabi compresi. È il terzo di una serie incominciata nel 2000 con la Bolla d' indizione del primo Giubileo, seguita da un volume dedicato al doge Pasquale Cicogna, che regalò palazzo Gritti a Sisto V. Editore e mente dell' operazione, oltre che autore della prefazione, è monsignor Sergio Pagano, da dieci anni prefetto dell' Archivio segreto vaticano, ma già da trenta al lavoro lungo gli 85 chilometri di documenti che ne formano il corpus, conservati in quattro piani del palazzo apostolico oltre che nel bunker sotterraneo voluto da Paolo VI. Della suggestiva coincidenza delle date tra questa pubblicazione e la deposizione dell' ultimo gran maestro dei Templari non vuole, tuttavia, sentire parlare. «Vede, a noi non compete onorare centenari dei Templari, a noi importa soltanto lo studio della storia. Non c' era nessuna intenzione di celebrare quell' Ordine, così come qualsiasi altro. È un lavoro scientifico, il nostro, non di propaganda. Ovviamente c' è anche un interesse economico perché abbiamo bisogno di fondi non indifferenti per mantenere, curare, restaurare, studiare i documenti più deteriorati dell' Archivio». E pensa che ristabilire la verità storica sul processo e la fine dei Templari possa fermare l' onda lunga dei Dan Brown e di tutti coloro che romanzano e hanno romanzato intorno a questo o altri temi in qualche modo connessi con la Chiesa e la religione? «Neanche per sogno. Non servirà a fermare niente. Forse che non si continua a credere fermamente in maghi e streghe? La gente sembra abbia bisogno di immaginare misteri e dietrologie. E dunque continueranno a fiorire leggende intorno a fatti e personaggi». Ma perché proprio intorno all' Ordine del Tempio è stato ricamato così tanto? «Penso che la leggenda sia nata posteriormente, attorno al XVI secolo, quando si diffuse quella del Graal, con la quale si intrecciò. Come dimostrano i documenti, il processo fu, infatti, pubblico e niente affatto misterioso e i supposti misfatti di cui erano accusati i cavalieri, come i riti di iniziazione sodomiti, vennero confutati. Quanto all' altra grande accusa, lo sputo sulla croce, era una pratica prevista ai tempi delle Crociate, e a chi veniva catturato dai saraceni il gesto di abiura era permesso purché esteriore e non fatto con il cuore, ore, non corde (parole senza convincimento, ndr)». Però le ricchezze dell' Ordine erano reali. «Certamente, altrimenti Filippo il Bello, alla frenetica ricerca di fondi per la guerra contro l' Inghilterra, non avrebbe avuto motivo di mettere in piedi il processo. Probabile che la cassa dei Templari sia cresciuta su beni di famiglia dei cavalieri, su donazioni, forse anche spoliazioni, nonché sulla sua buona amministrazione». Nella lotta tra re e papato quale, in un certo senso, fu il processo, come mai alla fine il re ebbe comunque la meglio, tanto che l' Ordine, decapitato del suo stato maggiore e privato dei suoi mezzi, decadde? «Non bisogna dimenticare che Clemente V non stava a Roma, bensì ad Avignone, non prigioniero ma comunque in stato di soggezione. E può anche essere che temesse il male maggiore, cioè uno scisma. Quanto alla decadenza dei Templari, chi mai poteva esser ancora interessato a fare parte di un Ordine squattrinato e, quel che faceva più paura, in odore di eresia? Se poi tale Ordine sia davvero estinto, non saprei, perché su Internet se ne possono trovare a decine e ciascuno sostiene di essere quello vero». In questo archivio ci sono altri documenti che potrebbero appassionare non soltanto gli storici. «Sono innumerevoli. Abbiamo, per esempio, scritti riguardanti Federico Barbarossa o Federico II, e abbiamo le lettere di Lucrezia Borgia». Anche materiale riguardante Pio XII e il suo rapporto con il regime nazista? «Certamente. Solo che è ancora materiale "chiuso". Finora sono consultabili i documenti che arrivano fino al 1939. Trattandosi di un papato assai lungo, le carte da riordinare e catalogare sono numerosissime. Una volta terminato il lavoro di preparazione, toccherà poi al Papa decretarne l' apertura». Chi ha accesso a questo Archivio? «Chiunque ne abbia il titolo scientifico. Non curiosi, ma studiosi, di tutto il mondo. Ci vuole almeno una laurea insomma. E per gli italiani non basta la triennale, occorre quella quinquennale».
Bossi Fedrigotti Isabella