sabato 14 febbraio 2009

La grandeza del Papa e il ritorno a casa dei "lefebvriani"

La grandezza del Papa e il ritorno a casa dei “lefebvriani”
di Marco Respinti, Il Domenicale, 13.2.09
Riepilogo che illustra il vero significato del gesto di Benedetto XVI
Quello ufficializzato da Papa Benedetto XVI il 24 gennaio è un grande gesto: di magnanimità e di governo ecclesiastico. Come si sa, in quella data il pontefice ha revocato la scomunica comminata a suo tempo a Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta, i quattro sacerdoti “tradizionalisti” che nel 1988 furono ordinati vescovi, con gesto intrinsecamente scismatico, da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), fondatore e superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX). A norma di diritto canonico, la loro ordinazione fu infatti valida ma illecita poiché amministrata senza permesso pontificio. La scomunica scattò dunque automaticamente, latae sententiae, venendo formalizzata dalla Commissione per i Vescovi il 1° luglio 1988. Colpì loro, l’ordinante (mons. Lefebvre) e, a causa del suo endorsement, anche mons. Antonio de Castro Mayer (1904-1991), vescovo di Campos in Brasile.L’ultima spondaRitirando la scomunica, il Papa ha iniziato, per parte propria, a sanare nel migliore dei modi possibili una ferita grave che da tempo insanguina il costato della Chiesa Cattolica. Il pontefice ha infatti annullato la più grave condanna che, da questa parte dell’eternità, possa colpire un cattolico.Il gesto di Benedetto XVI non è stato peraltro quello che una retorica di moda ma decisamente bolsa chiamerebbe “dialogo”, né un tentativo transigente (quindi compromissorio) di “salvare capra e cavoli”, ancora meno un’“ammissione di colpa”, un autodafè o l’“enciclica” delle scuse (tipo: “avevano ragione loro, finalmente da Papa ho capito”). Tutto infatti quel gesto significa tranne che un’indulgenza tardiva verso gli errori e le intemperanze dei “lefebvriani”.Quanto fatto dal Sommo Pontefice è infatti l’offerta agli scismatici di una possibilità reale e concreta (l’ultima?) di chiedere loro scusa al Vicario di Pietro: la richiesta esplicita di una prova inconfutabile della loro buona fede, della loro cattolicità, della purezza della loro battaglia per la verità.Come ha detto pubblicamente lo stesso Benedetto XVI il 28 gennaio, il suo è stato un atto di «paterna misericordia perché ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare» e s’inquadra solo nel suo infaticabile impegno per cercare e per ottenere l’unità fra tutti i credenti in Cristo. Tant’è che la revoca della scomunica è stata ufficializzata nel corso della settimana di preghiera che la Chiesa indice da tempo per impetrare l’unità dei cristiani. E peraltro non annulla la sospensione a divinis degli ex scomunicati.Sì, no, forseIl pontefice, insomma, ri-accoglie come figli suoi anche i “lefebvriani” se i “lefebvriani” si riconoscono suoi figli: per questo Benedetto XVI auspica «il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa» in nome della «vera fedeltà e [del] vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II».Ora la palla passa ai “lefebvriani”. Del resto, una caparra preziosa da considerare (e il Papa in persona lo ha fatto proprio con le parole succitate) sono alcuni atti pubblici fondamentali: il pellegrinaggio compiuto dagli scismatici a Roma nel 2000 per il Giubileo “wojtyliano” e la richiesta di revoca della scomunica avanzata da mons. Fellay , superiore generale della FSSPX, con l’appoggio di quella “Crociata del Rosario” che egli ha lanciato l’ottobre scorso durante un pellegrinaggio a Lourdes nella Solennità di Cristo Re allo scopo di ottenere l’intercessione della Vergine Maria e che ha totalizzato la recita (anche via Internet) di un milione e 703mila rosari “lefebvriani”.Nel “mezzo” si situano certamente segni inequivocabili quali la promulgazione del motu proprio “Summorum Pontificum” con cui nel luglio 2007 Benedetto XVI ha liberalizzato l’uso della liturgia latina “preconciliare” e la mano tesa alla FSSPX dalla Pontifica Commissione “Ecclesia Dei”, quella istituita il giorno dopo la scomunica ai “lefebvriani”, cioè il 2 luglio 1988, per “incontrare” i “tradizionalisti” che non avevano seguito gli scismatici. In giugno infatti il suo presidente, il cardinale Darío Castrillón Hoyos, ha proposto agli scismatici una linea d’intesa che di fatto ricalca il famoso protocollo preparato nel fatidico 1988 dal cardinal Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, protocollo che mons. Lefebvre firmò il 5 maggio 1988 benemeritamente ricucendo in quell’attimo la frattura, ma che, certamente anche circondato da pessimi consiglieri, il prelato rinnegò completamente dopo sole 24 ore.Ebbene, dallo scisma a oggi, il flusso dei “lefebvriani” pentiti che hanno riguadagnato la comunione con Roma è stato del resto costante e per loro la Santa Sede ha eretto ad hoc la Fraternità Sacerdotale San Pietro. Ma anche prima dello scisma diversi tra sacerdoti, religiosi (è il caso della Fraternità San Vincenzo Ferrer, domenicana) e membri di gruppi laicali (non solo uti singuli, cioè rompendo con i propri ambienti, ma anche associativamente) avevano felicemente abbandonato il “lefebvrismo” senza peraltro rinunciare alle proprie battaglie antiprogressiste. Esiste un vasto mondo “tradizionalista”, cioè, oltre il “lefebvrismo”. E questo è importante ricordarlo per almeno tre ragioni.Pentiti e born-againLa prima è evitare che la revoca della scomunica ai vescovi “lefebvriani” venga percepita da qualche commentatore distratto, o persino malevolo, come una “sanatoria” che fa di ogni erba un fascio e di ogni “tradizionalista” un born-again. Vi sono cioè “tradizionalisti” che per tempo son tornati sui propri passi e persino altri che non hanno mai dovuto farlo.La seconda ragione è che la disubbidienza di mons. Lefebvre prima e lo scisma dopo hanno oggettivamente creato le condizioni per un’ulteriore ferita nella Chiesa: quella aperta dai “sedevacantisti”, una famiglia eterogenea di credenze paracattoliche o di origine cattolica che al proprio interno conosce diverse “obbedienze”. Il “sedevacantismo” giudica eretica la Chiesa Cattolica dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II ed eretico il “lefebvrismo” che non considera eretica la Chiesa. La distinzione andrà sempre fatta, anzi gridata: ma sui propri concorsi di colpa il “lefebvrismo” un pensierino dovrà farlo, e magari comunicarlo a Pietro prima e al mondo poi.Risposte. E chiareE la terza ragione è questa. Originariamente – storicamente – il “lefebvrismo” è nato come una filiale domanda di chiarimenti al Pastore di Roma affinché egli rendesse ragione al proprio gregge di alcune mosse percepite da molti fedeli, spesso i più fedeli, come incomprensibili. Ebbene, se il “lefebvrismo” ha pensato di dover bruciare le tappe, i tempi della Chiesa Cattolica hanno invece adeguatamente risposto a quelle suppliche. Il monumentale magistero di Papa Giovanni Paolo II, la pubblicazione dell’imponente Catechismo della Chiesa Cattolica nel 1997 e l’intero insegnamento di Papa Benedetto XVI (già “teologo di Giovanni Paolo II”) hanno sancito autorevolmente la fallacia e la sconfitta di quella «ermeneutica della discontinuità e della rottura» (Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005) con cui il progressismo neomodernista ha preteso malevolmente d’interpetare il Vaticano II, causa prossima anche se non motore unico della rivolta “lefebvriana”.Se insomma una funzione storica, anche importante, il “lefebvrismo” l’ha certamente avuta, oggi la sua attesa paramessianica, che con i decenni si è trasformata in mera attesa di se stesso, non ha più senso. Oggi la risposta alla sua fondamentale domanda si chiama Chiesa Cattolica. Come sempre. Più chiaro di così, il Papa non può rispondere.Ebrei e dintorniC’è altro da dire? Sì, commentare breviter, come merita, l’incresciosa lingua lunga del vescovo Williamson sui campi di sterminio nazionalsocialisti. Premesso che il punto nodale della Shoah non sono i numeri, cioè che se non fossero 6 ma solo 5, 4, 3, 2 o anche 1 solo i milioni di ebrei criminalmente sterminati dal Terzo Reich non cambierebbe alcunché, Williamson parla evidentemente solo per sé, la FSSPX ha chiarito bene e subito di non avere alcunché a che spartire con le sue parole e il Papa pure. Del resto la scomunica che il Papa ha levato dal suo capo non fu certo comminata, come nessuna scomunica lo può essere, per le opinioni di un vescovo sui numeri dello sterminio ebraico, per bislacche che siano. Eppoi, eppoi c’è che mons. Williamson i suoi numeri li ha dati nel novembre scorso, ma che solo nella Giornata della Memoria 2009, in pendenza di revoca di scomunica, sono state passate in tivù. Forse pure, come puntualmente scrive il bravo Andrea Tornielli, su il Giornale del 3 febbraio con lo zampino, o la zampata, di due giornaliste francesi, lesbiche, “fidanzate”, filoabortiste e massone, Fiammetta Venner e Caroline Fourest. Che le due ce l’abbiano con il pontefice e con la sua paterna grandezza?
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