tratto dal dossier “Accanimento terapeutico e testamento di vita”, Fides.org 7 giugno 2008
Riflessioni sulle problematiche che riguardano l’introduzione del testamento di vita
(clicca qui per il dossier integrale: http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=19905&lan=ita )«A X affido il compito di rendere edotti i medici curanti dell’esistenza di questo testamento di vita con il quale, in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, o malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione, chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autonomamente».È questa la proposta del testamento biologico presentata il 23 giugno 2006 dal prof. Veronesi non è una novità: è la copia conforme di un testo reso pubblico il 18 febbraio 1994 dalla British Medical Association e successivamente bocciato dalla Camera dei Lord di Londra.L’accanimento terapeutico è già vietatoLe dichiarazioni anticipate possono essere uno strumento per escludere l’accanimento terapeutico. Ma l’accanimento è concordemente condannato. Perciò che utilità hanno le dichiarazioni? Inoltre, non si può prevedere a tavolino in astratto un quadro clinico futuro e fissare dei limiti oltre i quali ci sarebbe accanimento.I dubbi sulle volontà espresse anticipatamenteCosa dire in merito al suo contenuto? Innanzitutto la prudenza che nasce dall'esperienza della vita concreta può fare tre obiezioni.1. Nessuna persona sana e nel pieno possesso delle facoltà mentali può sapere cosa si prova quando si è colpiti da una malattia incurabile e si è entrati nella fase avanzata di essa. Chi scrive il testamento è estraneo al vissuto della malattia. Perciò, invocare il principio del consenso informato per giustificare le dichiarazioni anticipate di trattamento rischia di essere fuorviante.2. Nessuno può prevedere con certezza quali saranno i progressi scientifici e medici nella diagnosi e nella cura di una particolare malattia. Terapie oggi penose per il malato, domani grazie ai progressi della tecnica potrebbero essere praticate con minori oneri. Perciò, il testamento reso oggi per un futuro prossimo o remoto potrebbe diventare impreciso o fuori luogo.3. Non è detto che le volontà che io oggi esprimo corrispondano esattamente a ciò che io desidererò quando sarò colpito da una malattia grave. Potrei aver cambiato idea e non aver avuto il tempo di manifestarlo. Posti tutti questi dubbi circa un bene fondamentale, com'è quello della vita, è doveroso astenersi da qualsiasi atto che possa pregiudicarla.Lo stravolgimento del rapporto medico-pazienteEntrando maggiormente nel merito, noteremo che il testamento biologico stravolge il rapporto medico-paziente. Infatti, esso rappresenta una delle estreme esasperazioni dell’autonomia del paziente. Rifiutando in modo deciso il modello paternalistico viene adottato il modello autonomistico o contrattualistico sulla base di una presunta parità fra i contraenti del rapporto, cioè tra medico e paziente. Ma tutto ciò altera l'identità delle due figure in gioco. Il medico, da professionista che agisce nell’interesse e nel bene della salute del paziente, è degradato ad essere un esecutore delle volontà del paziente. Il rapporto virtuosamente asimmetrico tra medico e pazienteIn questo modello il medico potrà essere anche abilissimo tecnicamente, ma sarà sempre incompetente dal punto di vista decisionale. Il paziente, invece, diventa un puro cliente che può chiedere tutto al medico. In realtà, la parità tra i due contraenti non esiste, perché il medico “sa”, mentre il paziente, anche quando è perfettamente informato delle sue condizioni e delle possibilità terapeutiche, non è libero di sfuggire alla malattia e spesso è incapace di un confronto obiettivo con istanze morali e scientifiche. Il rapporto medico-paziente è un rapporto strutturalmente asimmetrico. Il medico, se non vuole essere ridotto a semplice erogatore di servizi, deve conservare la sua autonomia professionale e la sua dignità etica per cui, avendo di mira il bene e la vita del paziente, valuterà sempre se le richieste del paziente o il trattamento terapeutico adottato siano adeguati al caso concreto. Inoltre, se il medico non potesse fare riferimento al bene del paziente (ricerca della salute o eliminazione progressiva del dolore), non potrebbe sorgere l’alleanza solidaristica tra medico e paziente. Autonomia esasperata che lede la dignitàNel modello dell’alleanza terapeutica il medico terrà conto delle dichiarazioni espresse dal paziente, ma le potrà disattendere sulla base delle conoscenze e dei progressi della medicina e interpreterà le intenzioni del paziente all'interno del contesto in cui il paziente le ha manifestate. Inoltre, dobbiamo riconoscere che l'autonomia del paziente non può essere esasperata fino a farne un assoluto, perché spesso il paziente non è in grado di valutare appieno la sua malattia e lo sviluppo della scienza e dell'arte medica. Piuttosto è fondamentale che il medico si faccia carico dello stato complessivo del paziente suo interlocutore, creando tutte le condizioni perchè il paziente, mediante il dialogo, l'informazione e l'incoraggiamento, possa orientarsi verso la scelta migliore per la sua persona. Perciò, il testamento biologico, mentre sembra esaltare la libera scelta del malato, in realtà ne lede gravemente la dignità, perché il valore di un individuo umano, per quanto malato, non dipende dalla più o meno normale vita di relazione, che è in grado di vivere.Alimentazione e idratazione non sono terapieNel testo proposto si legge che il malato chiede «di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autonomamente». In pratica il malato che redige il testamento biologico si espone volontariamente, ma forse ne è ignaro, al rischio di morire di fame e di sete in quanto rinuncia all'idratazione e all'alimentazione mediante flebo. Proporre questo tipo di testamenti sarebbe un atto di solidarietà e di pietà? Le motivazioni addotte a favore del testamento biologico giocano su un’ambiguità: per evitare l'accanimento terapeutico si propone il testamento biologico, cioè la generica e vaga rinuncia a terapie. Tuttavia, mentre è moralmente lecito, anzi doveroso, sospendere tutti quegli atti diagnostici o/e terapeutici che si configurano come accanimento ostinato, non è mai lecito omettere di idratare e alimentare, perché idratare e alimentare non sono terapie. Se lo fossero, allora tutte le volte che ci sediamo a tavola ci sottoporremo a una terapia? Ma il testamento biologico è l'unica cosa che un oncologo può offrire a un malato in fase avanzata? Esistono delle alternative?Le pressioni eutanasicheLe proposte a favore del testamento biologico destano sconcerto. Nella sua genericità legittima l’abbandono terapeutico di molti malati che grazie alle moderne tecnologie potrebbero continuare a vivere e ad esprimere la loro personalità. Attenua la solidarietà umana e il vincolo morale e professionale che lega il medico al bene della persona malata. Spinge verso l’eutanasia volontaria e preventiva. Dal punto di vista sociale è particolarmente pericolosa perché le persone più anziane e più sole, più vulnerabili sarebbero più esposte al richiamo «di farla finita al più presto». D’altronde come ha riconosciuto un’associazione di psicologi olandesi dopo la legalizzazione dell’eutanasia, gli individui più vulnerabili avvertono una pressione, reale o immaginaria, che li spinge a richiedere di accelerare la morte e sono spesso assaliti dal dubbio di essere di peso alla società.La terapia del doloreLo sconcerto aumenta se pensiamo che la proposta è stata lanciata da un noto oncologo, il quale dovrebbe essere esperto nel lenire il dolore, se non è possibile la cura, e non nel suggerire una morte anticipata e dolorosa. Desta meraviglia anche il fatto che i mass media parlino tanto di eutanasia o di testamento biologico, mentre tacciono sui continui progressi nel trattamento del dolore, soprattutto grazie a un dosaggio calibrato di morfina. La proposta a favore del testamento biologico risulta deprimente. Mentre le proposte solidaristiche, che mirano ad accogliere le esigenze dei malati in fase acuta e avanzata, sono quelle che puntano sulla ricerca scientifica e farmacologica nel trattamento del dolore e sulla formazione di personale specializzato nel sostegno e nella cura dei malati e dei loro congiunti. Il principio che sorregge questo strumento è discutibile e la sua credibilità è più che dubbia, vista «la frequenza dei casi in cui il malato sconfessa il suo documento quando è giunta l’ora di applicarlo». La convenzione di biomedicina del Consiglio d’EuropaLa Convenzione di biomedicina, firmata dal Consiglio d’Europa a Oviedo il 20 settembre 1996, all’art. 9 afferma che «Saranno presi in considerazione i desideri espressi in precedenza in merito a un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà». Al paragrafo 62 del rapporto esplicativo di questa convenzione si afferma che tenere presenti i desideri del paziente non significa che essi debbano essere necessariamente eseguiti, perché potrebbero non aver tenuto conto dei progressi scientifici e delle nuove terapie disponibili.Il Comitato Nazionale per la BioeticaIl Comitato Nazionale per la Bioetica il 18 dicembre 2003 ha approvato il documento: Dichiarazioni anticipate di trattamento. Offre una visione positiva delle dichiarazioni anticipate presentandole come una legittima opportunità di «continuazione del dialogo», sia pure imperfetto, tra medico e paziente. Le dichiarazioni non possono servire a richiedere pratiche che siano contra legem, come tecniche eutanasiche. Il CNB indica due modalità per rendere più «efficaci» e meno astratti i contenuti: redigere le dichiarazioni 1) all’inizio della malattia o nel corso di essa quando si delineano meglio evoluzione e prognosi; 2) con l’assistenza del medico curante. In questo modo viene coinvolta l’integrità morale e la responsabilità deontologica del medico che assiste il suo paziente in questo delicato momento informativo. Le dichiarazioni non hanno carattere giuridico vincolante per il medico, proprio per questo è stata preferita la dizione «dichiarazioni» a «testamento di vita».Disporre del bene vitaLa meta molto probabile dell’introdurre il testamento biologico o le dichiarazioni anticipate di trattamento è disporre del bene vita, cioè disporre di un bene indisponibile e inalienabile di ogni essere umano. È verosimile che si voglia percorrere una strategia «carciofo»: prima mossa, ti faccio democraticamente scegliere come morire; seconda mossa, determiniamo in astratto quali sono quelle condizioni di vita insostenibili e non degne di essere vissute; terza mossa, alcuni decideranno quale vita è degna di essere vissuta e quale no.La vita ridotta a “vita biologica”Inoltre, il testamento biologico suppone che la vita sia solo la vita nel suo aspetto biologico. E gli altri aspetti della complessa esistenza umana? Altro timore è che queste leggi o i vari documenti di fine vita siano interpretati di fatto come un’apertura all’eutanasia passiva o all’abbandono del malato e che poi vengano usati a nostro danno personale, magari per risparmiare costi o liberare un letto. Infine, alla base di queste proposte del testamento biologico c’è una cultura del sospetto, il sospetto nei confronti del medico, come si stentasse a credere che oggi il medico sia in grado di assumere una decisione che miri al vero bene del paziente.Dietro la domanda di morte: solitudine e pauraDi fronte alle varie iniziative di introdurre più o meno apertamente forme di eutanasia è necessario ricordare che la domanda di morte espressa da un paziente va interpretata e che dietro di essa nella stragrande maggioranza dei casi si cela la domanda di aiuto e di non restare soli. Coloro che propongono la legalizzazione dell’eutanasia sono soliti portare esempi di singoli pazienti la cui decisione di morire sembra consolidata e irreversibile. Ma dobbiamo riconoscere che la situazione della stragrande maggioranza dei malati oncologici e in fin di vita è ben diversa: questi non chiedono di farsi uccidere, chiedono piuttosto di non essere abbandonati né dai parenti, né dagli amici, né dai medici. L’eutanasia si rivela perciò come la risposta sbagliata a un problema realmente drammatico. Esistono delle risposte umanamente eccellenti a questo problema, come le cure palliative, la sedazione del dolore, e l’accompagnamento verso la morte con senso di compassione e con prossimità, valori accettabili anche da chi non crede.Riduzionismo eutanasicoInoltre, l’eutanasia e il testamento biologico operano almeno due forme di riduzionismo: riducono la morte a una meccanica prassi burocratica e standardizzano casi clinici, ognuno dei quali ha una sua tipicità del tutto singolare; riducono impercettibilmente il medico da professionista che si obbliga nei confronti del malato a impiegare determinati mezzi al mero operatore che si obbliga a ottenere precisi risultati.Il tabù della morteÈ particolarmente urgente fugare qualsiasi tabù sulla morte e, anzi, riscoprire che il momento finale dell’esistenza è tanto carico di significato quanto la vita che lo ha preceduto. Se l’esistenza è stata qualitativamente alta, il momento della morte sarà altrettanto alto.La tentazione di distinguere vite degne e vite indegneAltrettanto urgente è assicurare da un lato la libertà di rifiutare le cure e dall’altro costruire un sistema di garanzie e cautele che non lascino adito a dubbi perché sbagliare in questo campo è un gesto senza rimedio e si chiama omicidio. Non insistere in terapie inutili è una buona e legittima scelta dettata dal buon senso e corrisponde a rifiutare l’accanimento: il medico si assume la responsabilità tipica del professionista di valutare insieme al paziente gli effettivi benefici della cura in quel concreto quadro clinico. Senza mai cedere alla tentazione di distinguere vite di qualità da vite non più degne di essere vissute, una civiltà umana degna di questo nome si sforzerà, per quanto è attualmente possibile, di garantire una alta qualità di vita anche ai malati che sono oramai giunti alla fine.Note1 Mirabel X., Tra rinuncia e accanimento terapeutico, cit., 45.2 Cf. il sito www.governo.it/bioetica/index.html. Per un commento si legga: BOMPIANI A., Le Dichiarazioni anticipate di trattamento del Comitato Nazionale per la Bioetica: l’ispirazione alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, in «Medicina e morale» 2004, 1115-1131.
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